#Donne e Pace 8 marzo giornata internazionale delle donne

Nella Primavera della rinascita il Covid, indebolito,  rallenta ma cede il passo alle cupe ombre della crisi Russia-Ucraina. L’Europa guidata da tre donne, Ursula von der LeyenChristina Lagarde e Roberta Matsola è compatta nella difesa di valori umani, politici, istituzionali, in un teatro di guerra attualmente instabile e imprevedibile, che evidenzia la vulnerabilità degli equilibri globali. Sgomento, paura, angoscia ma anche forza e capacità di resilienza distinguono i volti delle donne in fuga da città infuocate di scoppi e di terrore,  con i propri figli o i figli di altre donne in braccio o per mano. Resistono. Piangono sorridendo per non spaventare le bambine e i bambini, Non dormono e vegliano come leonesse attente. Partoriscono in un bunker e restituiscono al mondo speranza. Succede a Kiev. È successo a Kabul qualche mese fa e in Birmania, sotto la superficie apparentemente calma, le donne di  Naypyidaw tremano per strada.

Le donne paladine della vita non fanno la guerra. Forse lo vuole la biologia di un corpo che è capace di contenerne un altro, faticoso da costruire: un legame quasi chimico tra vita e dare vita. O forse lo vuole la sensazione antica di avere un corpo/preda di un altro corpo. Oppure la convinzione diffusa che il materno (che si sia madri o meno) sia eterno, per cui le donne quasi si prolungano nella cura, non progettano guerre, non allineano truppe (semmai ne fanno parte), non comprano armi, non le vendono, non studiano strategie di attacco; ma lottano in un fronte interno e cercano soluzioni altre.

Nel 42 a.C, quando i triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido,  impegnati nelle guerre civili contro gli uccisori di Cesare,  chiesero a 1.400  matrone romane di contribuire alle spese militari con una tassa proporzionata ai loro patrimoni personali, Ortensia, l’axitiosa (l’agitatrice), supera il tradizionale divieto di parola pubblica femminile e interpella il Senato con un capolavoro di discorso: Le guerre esterne e civili, per le quali non ci è mai chiesto il nostro parere –  dice – hanno privato le matrone di padri, figli, mariti e fratelli; quindi esse in molti casi non hanno più alcun familiare maschile che le tenga sotto tutela e che le rappresenti davanti alla legge; possono e devono difendersi da sole  (del resto, lei stessa era indipendente: non aveva più né il marito, né il padre, che era morto nel 50 a.C. .) […] e si fa più stringente:  Perché mai – dice-  le donne dovrebbero pagare le tasse, visto che sono escluse dalla magistratura, dai pubblici uffici, dal comando e dalla vita dello Stato? Perché mai le donne che aborriscono la guerra dovrebbero pagare perché gli uomini la facciano?

Fu una vicenda importante, nella storia sociale romana e nella vicenda millenaria dei conflitti tra i generi. Come spesso avviene, la conquista di parola pubblica da parte delle matrone romane non fu definitiva: anzi, vari provvedimenti dei decenni successivi si preoccuparono di sanare l’“anomalia” con un esplicito divieto di accesso, per le donne, a tutte le cariche pubbliche e alla magistratura; divieto che è stato rimosso non prima del secolo scorso. Ortensia resta però un’impronta importante nella storia, un’impronta che indica una via. Una via sulla quale la guerra non è concepita. Quest’anno l’Istituto L. Einaudi dedica l’8 Marzo  a questa riflessione.

Il giallo luminoso e il profumo delicato delle mimose possa essere auspicio di un futuro diverso e migliore, indicato dall’impronta di Ortensia e dal cammino di amore ri-generativo di  tutte le donne, unite da competenza, coraggio, passione, pazienza, accomunate dalla visione della pace e della rinascita.

Prof.ssa Francesca Zerman Dipartimento di Lettere

#calendario civile Einaudi 2022